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Plastica biodegradabile: cos’è e com’è fatta

La plastica è uno dei materiali più comuni e con cui tutti abbiamo a che fare ogni giorno. Negli ultimi anni sentiamo sempre più spesso parlare di plastica biodegradabile, che è ormai entrata nel linguaggio comune, anche se spesso la conoscenza sul tema, sulle differenze tra le varie tipologie, i loro utilizzi e la loro origine è piuttosto limitata. Ecco alcune curiosità sul mondo della plastica e la sua biodegradabilità.

Cosa vuol dire plastica biodegradabile

La biodegradabilità per definizione è la caratteristica di un materiale che può subire la degradazione biologica o biodegradazione. Il termine “plastica biodegradabile” indica nello specifico tipologie di plastica caratterizzate dalla biodegradabilità, perché prodotte a partire da materia organica oppure a base di poliesteri sintetici particolari, in grado di decomporsi anziché accumularsi nell’ambiente e come dover essere smaltiti per combustione, quando non riciclati, come avviene per le plastiche cosiddette tradizionali.

Quando si parla di biodegradabilità della plastica si intende una qualità intrinseca potenziale di questo materiale: infatti è necessario che gli oggetti siano esposti ad una serie di condizioni ambientali, di umidità e temperatura innanzitutto, necessarie perché la biodegradabilità possa attuarsi. In pratica è necessaria la presenza di un microorganismo (sia esso un batterio, un fungo o un’alga) in grado di scomporne il materiale, “digerendolo” e quindi assimilandolo completamente senza bisogno di additivi artificiali. In questo modo il materiale plastico viene smaltito e consumato, e non persiste nell’ambiente.

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Biodegradabilità della plastica: tempi e modi

La composizione di una materia plastica (a base di petrolio o di biomassa) non determina la sua biodegradabilità, in entrambi i casi si può parlare di biodegradazione di una materia plastica: tutti i materiali possono essere considerati biodegradabili, nel senso che vengono degradati con il tempo, in processi enzimatici più o meno complessi, grazie all’azione di microbi, funghi e altri microrganismi. Tuttavia si parla comunemente di materiali biodegradabili soltanto per quelli che si degradano in un determinato periodo di tempo, nell’ordine delle settimane o di alcuni mesi. Per la precisione, la plastica biodegradabile, per essere definita tale, deve potersi disintegrare per il 90% entro i primi 3 mesi, mentre entro 6 mesi il 90% deve essere stato assimilato dai batteri.

Per contro, la plastica tradizionale non è considerata biodegradabile perché i polimeri plastici di cui è composta non solo non hanno la possibilità di scomporsi (entro il determinato tempo limite di cui sopra) ma soprattutto non possono essere riassorbiti dall’ambiente. Se il vantaggio di molti prodotti, oggetti o film realizzati in plastica è la grande resistenza agli agenti atmosferici e alle sollecitazioni, la stessa caratteristica diventa un forte svantaggio se gli stessi oggetti vengono abbandonati nell’ambiente, dove possono resistere a lungo (si stima fino a milioni di anni) e frammentarsi contaminando acqua e suolo.

I sacchetti in plastica biodegradabile, invece, possono essere distrutti direttamente dai microrganismi. Questo avviene, come anticipato, solamente se il materiale plastico viene smaltito in modo corretto: ciò significa che non deve essere abbandonato nell’ambiente ma raccolto in modo sistematico e stoccato in ambienti dedicati al compostaggio, dove vengono create le condizioni necessarie all’attivazione del processo di degradazione. Per contro, se gettati per terra o nel mare, i sacchetti biodegradabili possono resistere integri, o ancora peggio frammentati, per molti anni, causando ingenti danni ambientali analoghi a quelli della plastica tradizionale.

La plastica biodegradabile, se smaltita correttamente, è certamente un vantaggio perché riduce la quantità di materiale plastico immesso nell’ambiente e quindi contribuisce se non alla riduzione, ad un controllo dell’inquinamento. Tuttavia quando non è smaltita in modo corretto, per esempio se i sacchetti di plastica vengono accumulati in un luogo non adatto, come una discarica, non solo non riescono a biodegradarsi in modo completo ma nel tentato processo rilasciano anidride carbonica e metano nell’ambiente, anziché nel terreno dove dovrebbe, causando così un aumento dell’inquinamento dell’aria, dell’acqua piovana e del suolo.

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Differenze tra plastica biodegradabile e compostabile

Analizziamo questi materiali uno alla volta per fare chiarezza:

  • Biodegradabile è un materiale che ha la capacità di essere degradato e alla fine scisso, in modo naturale e grazie all’azione enzimatica di microorganismi, in sostanze più semplici quali anidride carbonica, acqua e metano, senza che durante il processo siano rilasciate sostanze inquinanti. La biodegradazione è un processo naturale per cui tempo e modalità sono strettamente correlate alle caratteristiche della materia prima ma non alla sua natura chimica.
  • Compostabile è invece un materiale capace di trasformarsi mediante compostaggio insieme all’umido in compost. Il compostaggio è un processo di decomposizione biologica di una sostanza organica in condizioni controllate; avviene in natura, ma può essere riprodotto artificialmente, ricreando le condizioni ottimali per favorire l’azione dei microrganismi che operano nel processo di degradazione. Ne deriva un prodotto finale chiamato compost, una sostanza organica biologicamente stabile, inerte, inodore costituita prevalentemente da humus, microorganismi attivi e microelementi. Il compost viene spesso riutilizzato in ambito agricolo, come fertilizzante per campi, orti e giardini.

Packaging compostabile e packaging biodegradabile non sono la stessa cosa. Un packaging è compostabile quando soddisfa tutti i requisiti definiti nella norma tecnica italiana, armonizzata a livello europeo, UNI EN 13432:20021. Il processo stesso di compostaggio avviene in condizioni controllate di aerazione forzata e di alte temperature. Il packaging compostabile non va disperso nell’ambiente, ma andrebbe smaltito nei rifiuti organici (o umido) perché sarà indirizzato agli impianti di compostaggio industriale.

Nuovi materiali e plastiche biodegradabili

La tecnologia è da sempre al servizio della ricerca di nuove modalità di imballaggio, conservazione dei prodotti e recentemente ha un ruolo sempre più attivo nel tentativo di individuare soluzioni che ottimizzino processi, risorse e l’impatto del mondo del packaging sul nostro ambiente, sempre più fragile e a rischio di destabilizzazione.

Per questo si sente sempre più spesso parlare di bioplastiche: vediamo di che si tratta.

Le Bioplastiche sono quei materiali (polimeri) che hanno origine da fonti biologiche, o bio-massa. Può trattarsi di materie prime di origine biologica e, per questa ragione, rinnovabili, come quelle di origine vegetale, animale, ma anche di loro sottoprodotti e scarti di produzione. Ciò che una bioplastica non è, invece, è un materiale proveniente da fonti fossili come il petrolio.

Le bioplastiche, secondo la definizione della European Bioplastics, possono essere biodegradabili, a base biologica o possedere entrambe le caratteristiche. In quanto bioplastiche, la loro composizione è di origine biologica, in tutto o almeno in parte. Spesso questi materiali sono anche biodegradabili, e questo è uno dei principali vantaggi delle bioplastiche. Tuttavia la biodegradabilità non è un fattore obbligatorio per un materiale bioplastico: alcune bioplastiche non sono infatti considerate biodegradabili, ad esempio quando risultano più “durevoli”, persino di alcuni polimeri plastici, e non si decompongono entro alcune settimane.

Bioplastiche e plastiche biodegradabili quindi non sono sinonimi, ma molti dei nuovi materiali da fonti rinnovabili risultano appartenere ad entrambe le categorie.

Il loro essere rinnovabili, infine, è ciò che rende le bioplastiche uno tra i materiali più interessanti sul mercato, utili per un numero crescente di applicazioni. Alcuni esempi? L’amido, la cellulosa, il mais e la canna da zucchero sono spesso alla base dei composti bioplastici e possono venire combinati per ottenere diversi risultati in termine di performance, resistenza, durezza, flessibilità e durabilità.

La ricerca sta sviluppando costantemente nuovi prodotti e composti promettenti, impiegando bucce e scarti di frutta e tuberi, dal mango e alle patate, scarti derivanti dalla lavorazione di pesce e crostacei, etc.. Tra i più celebri, il composto bioplastico e non degradabile a base di bucce di banana, ideato nel 2013 da Elif Bilgin, giovanissima scienziata turca, che ha intuito le potenzialità di questa materia prima vegetale ricca di amido.

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Dove si butta la plastica biodegradabile

Qualsiasi imballaggio recante la dicitura “biodegradabile” non dovrebbe mai essere smaltito nell’ambiente né nei rifiuti organici: come spiegato, infatti, l’essere biodegradabile non significa che sia anche compostabile.

Se in quest’ultimo caso gli imballaggi possono essere gettati nell’umido, in cui diventeranno compost nell’arco di pochi giorni, secondo la normativa UNI En 13432, per la plastica biodegradabile è bene fare attenzione.

L’indicazione biodegradabile può infatti molto facilmente trarre in inganno il consumatore, inducendolo a pensare che si tratti di un materiale sicuro, ecologico e “innocuo” se abbandonato in natura, purtroppo portando spesso a comportamenti sconsiderati. Sono molte le aziende che fanno leva sulla biodegradabilità del loro packaging, con tanto di evidenze scientifiche e claim pubblicitari, per finalità di marketing, ma è bene essere informati per considerare i comportamenti più corretti da tenere.

Dunque dove si butta un rifiuto in plastica biodegradabile? In questo caso non potendo essere smaltito in condizioni ottimali che gli consentano di essere disgregato in modo appropriato (come abbiamo visto in processi naturali o indotti che coinvolgono fattori come suolo, acqua, presenza di microorganismi ecc…) deve essere conferito nell’indifferenziato.

Anche il packaging compostabile va smaltito correttamente e non deve essere disperso nell’ambiente, ma può essere conferito nei rifiuti organici (o umido) e successivamente sarà indirizzato agli impianti di compostaggio industriale perché possa attivarsi il processo di degradazione.

Smaltimento e riciclo della plastica biodegradabile

Come accennato, al momento la plastica biodegradabile deve essere smaltita insieme ai rifiuti indifferenziati, in quanto non può essere riciclata insieme alla plastica tradizionale. Questo accade perché la plastica biodegradabile rappresenta ancora una quota ridotta sul totale dei rifiuti plastici, e l’avviamento dei processi di riciclo ad hoc, su una così ridotta scala, non risulta conveniente né efficace.

In alcune circostanze, tuttavia, in cui sia possibile reperirne in grande quantità e separarla accuratamente dal resto dei rifiuti, è stato dimostrato come la plastica biodegradabile sia altamente riciclabile e il processo potenzialmente efficace e promettente.